Oltre 20.000 miliardi di dollari. Questo il bilancio delle prime 5 Banche Centrali mondiali. Un rialzo del 1400% dal 2008 con gli attivi della FED che pesano il 18% del PIL statunitense, quelli della BCE il 44% circa di quello europeo, mentre la BOJ già viaggia oltre il 100% del PIL giapponese.
Si parla ancora di nuovi stimoli di politica monetaria, una accelerazione del cd new normal, o meglio una nuova riproposizione dopo i recenti stalli, almeno delle prime due Banche Centrali al mondo, FED e BCE.
Pressioni su Powell perché ricominci un nuovo round di tagli ai tassi ufficiali, forte attesa a Settembre per la ripresa degli stimoli della BCE, mentre continua la fase espansiva della BOJ e si è rafforzata la posizione da colomba della Banca Centrale Cinese; ultimamente anche la Banca Centrale dell’India ha rinnovato gli stimoli monetari per supportare una rallentamento consolidato della crescita. Ma quanto può funzionare ancora tutto questo mix di politiche monetarie ortodosse o no. A parte la FED, tutte le altre sono costrette a ricorrere a strumenti che fino a qualche tempo fa avremmo definito non ortodossi. Ma ha ancora senso chiamarli ancora così dopo anni di utilizzo e tassi di interesse sempre più negativi su diversi segmenti della curva?
Il problema (o l’opportunità) è che oramai questi strumenti sono stati oramai digeriti dal sistema nel suo complesso, sia quello finanziario che produttivo. Il rischio è che i costi siano maggiori dei benefici: un ulteriore ribasso dei tassi di interesse (anche negativi) non può che avere forti ripercussioni sui già magri bilanci bancari, e anche la liquidità offerta a pagamento (leggasi TLTRO) oramai non ha più l’appeal di un tempo. Basta vedere le probabili richieste delle banche europee al primo round del TLTRO III. Perché? Perché semplicemente non c’è sufficiente domanda di credito.
Però probabilmente l’ingranaggio è qui che si inceppa. La domanda di credito non è sufficiente se passa per i canali bancari che sono abituati a ragionare con valutazioni del merito creditizio di chi ha un bilancio che si fonda sulla gestione integrata dell’attivo e del passivo (leggasi hanno una raccolta da tutelare, un mismatching di duration da rispettare, insieme a tutti i requisiti regolamentati). Allora forse è il caso di cambiare nuovamente passo alla politica monetaria e ridurre ancora di più il confine tra politica monetaria e politica fiscale, mantenendo però la separazione dei ruoli. Ad esempio le banche centrali potrebbero acquistare quote di fondi di venture capital che investono in realtà innovative, oppure prestare garanzie sulle forme di smobilizzo del circolante attuate tramite le fintech che operano nell’invoice trading and auction, in modo da superare anche le logiche di valutazione del merito creditizio di natura bancaria a cui sono ancora ancorati questi nuovi attori Fintech poiché non si possono permettere passi falsi con i fondi di investimento che partecipano ai diversi veicoli.
In fin dei conti si tratta sempre di operare sulla offerta di moneta in maniera indiretta e comunque si andrebbe ad operare sulle aspettative di lungo termine dell’inflazione.
Tutto ciò tra l’altro sarebbe anche in linea con l’evoluzione del concetto di open banking che sta emergendo a seguito della totale implementazione della PSD2, ma è anche in linea con l’evolversi del tessuto microeconomico con la presenza di nuovi players e la riqualificazione di quelli esistenti nei settori maturi, almeno finchè il settore bancario incubent non sarà in grado di allinearsi o incorporare questi cambiamenti strutturali nei propri modelli di business e di valutazione.
In fin dei conti la BOJ ha già di fatto ristretto notevolmente il confine tra politica monetaria e politica fiscale e forse è solo questione di tempo prima che si arrivi ad un nuovo new new normalin cui i player innovativi nel Fintech ne potrebbero ulteriormente beneficiare, ma anche gli incubent se saranno in grado di elevare il concetto di open banking a proprio vantaggio.
Corrado Bei
Director Finconsultech© Academy